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INTERVISTA AL SIR


Nel marzo del 1931, a Reggio Emilia  avvisano don Dino Torreggiani che in una carovana, c'è gente che piange. "Corsi, senza nulla pensare – racconta il sacerdote -soltanto preoccupato di portare i conforti religiosi. Fui accolto con tanta cordialità e riconoscenza. Quell'episodio, senza accorgermi, segnava una svolta nella mia vita… Poche settimane dopo, tornai quasi sospinto da una forza misteriosa. Due carovane e una piccola arena sostituivano la carovana già partita per altro destino. Una donna stava lavando i panni: ‘Padre, venga — mi disse — siamo cristiani anche noi’”. La scoperta di un nuovo mondo di gente a cui il sacerdote si dedica per il resto della sua vita: sinti e rom, giostrai e circensi diventeranno il centro del suo apostolato. Nasce l’OASNI (Opera per l'Assistenza Spirituale ai Nomadi in Italia) che confluirà nella Fondazione Migrantes.

Chi è il sacerdote impegnato all’interno dei circhi e lunapark?
Lo abbiamo chiesto al don Luciano Cantini, direttore di questo ufficio. 
“Preferirei usare il condizionale, allargandomi agli altri operatori pastorali, religiosi, suore, diaconi e laici, userei una sola parola ‘amico’. La gente del viaggio, proprio per il suo viaggiare non ha un rapporto stabile con un territorio  e tanto meno con una comunità parrocchiale strutturata su base territoriale, in altri termini non può fare esperienza di chiesa. Ha invece un rapporto stabile e sicuro con la propria famiglia intesa come famiglia allargata. Dunque si tratta di entrare dentro questa famiglia allargata, senza avere motivi di sangue né di tradizione … è un percorso lento che solo è possibile se siamo capaci di passione, di amore e di stima per queste persone”.

Cosa significa essere sacerdote in mezzo a questo popolo?
“Abbiamo detto che prima di tutto deve essere amico. Chi è specialista nella maschera, non sopporta che la maschera faccia da intermediario nei rapporti; dunque si tratta di essere autentico con pregi e difetti. Lo specifico del sacerdote deve emergere in seconda istanza quando l’esperienza reciproca lo permette. Il sacerdote ha il compito di portare Gesù che ha dentro, non mostrarne un’immagine. Il brano evangelico della Visitazione chiarisce l’idea: Maria porta Gesù ad Elisabetta perché lo custodisce nel suo grembo. Non sappiamo cosa abbiano parlato e fatto le due donne nei tre mesi passati insieme, sicuramente hanno vissuto la quotidianità della vita familiare. Questo dovrebbe fare il sacerdote e l’operatore pastorale: entrare nella quotidianità della vita anche se questo significa parlare di lavoro, di camion, di spettacolo, di saldatura, di pittura, di animali, di supermercato”

Qual è la tua esperienza?
“La mia esperienza supera i trent’anni ma non posso dirla conclusa, nel senso che corre insieme alla vita. Il Circo e Lunapark di oggi non è quello di allora, è cambiata la gente che vi lavora, il pubblico, il mondo, ed anch’io sono cambiato. Il trucco ce lo ha insegnato Gesù stesso nel mistero dell’Incarnazione: prima di dire cose e di fare miracoli si è fatto uomo, ha condiviso in tutto la nostra condizione umana. Credo che questo sia un insegnamento incredibile che vale sempre specie in una comunità un po’ particolare come quella del Circo e del Lunapark. Ognuno poi trova la sua strada secondo le capacità di relazione. Per me è stato facile truccarmi la faccia e condividere la pista, ma l’ho fatto per loro e non per il pubblico, chi mi ha visto in pista non sapeva chi io fossi in realtà. La condivisione della pista mi ha permesso altre condivisioni, ed altre profondità”.

I circensi e fieranti ti aiutano a riscoprire tua vocazione sacerdotale?
“La nostra fede parte dall’esperienza di Dio che è cresciuta in un popolo nomade. Gesù dice di se stesso di non avere un sasso dove poggiare il capo. Questo un po’ contrasta con una Chiesa strutturata e territorializzata come la nostra … non possiamo diventare nomadi, ma abbiamo necessità di chi fa questa esperienza. Purtroppo la paura dell’altro, del diverso, crea emarginazione, allora bisogna superare i limiti per metterci in ascolto di questa esperienza sublime che ha molto da raccontarci. Come prete ho avuto dei momenti di grande difficoltà personale con interrogativi grandi … non credo che la gente del circo mi abbia aiutato a trovare delle risposte, che ancora sto cercando, ma sicuramente mi ha aiutato ad avere uno sguardo ‘altro’, a rendere gli interrogativi meno pesanti”.

Ai sacerdoti che vorrebbero iniziare cosa diresti?
Direi di avere il coraggio della semplicità, della disponibilità e i tempi lunghi dell’addomesticamento come raccontato nel Piccolo Principe.

E a chi non ci ha mai pensato…
Direi: “non sai cosa ti perdi!!”, poi direi loro che chi è impedito a frequentare la ‘Chiesa’ perché ogni dieci giorni cambia paese e parrocchia ha bisogno che la Chiesa si faccia loro vicina. Purtroppo sono tanti gli altri “missionari” che bussano alle porte delle carovane con lo scopo di destabilizzare. Bisogna essere coraggiosi, dice san Paolo  “Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno” (1Cor 9,22-23).

(R. Iaria)

 

(Migranti-press nr.11 del 13 – 19.03.2010)